La prigioniera n°13 è una nana di nome Korda Lapislux. Prima della sua incarcerazione anni fa, Korda era un’alleata e agente del clan Spaccascure, un gruppo di nani moderatamente influente in una roccaforte di nome Lugubris. Korda creò una rete di informatori e agenti, apparentemente a beneficio esclusivo del clan Spaccascure. A ogni successo, pagava dei tatuatori per imprimere sulla sua pelle un ricordo del suo trionfo. Usando antichi rituali, Korda infuse in molte di queste elaborate incisioni la magia delle fucine di Lugubris, conferendo loro proprietà straordinarie.
Korda, però, presto divenne troppo ambiziosa per il semplice ruolo di agente, così iniziò a escogitare un piano per assumere più potere. Trascorse cinque anni a fare un attento bilancio delle ricchezze del clan Spaccascure e, sfruttando la sua potente rete di conoscenze, riuscì in un colpo solo ad appropriarsi della maggior parte dell’oro del clan, lasciandolo in miseria.
I nani Spaccascure la scoprirono quasi subito. Così il clan radunò gli agenti della nana, i quali si batterono fino alla morte o finirono giustiziati. Nonostante la cattura di Korda e innumerevoli interrogatori, lei non rivelò mai l’ubicazione del bottino rubato, nemmeno sotto la compulsione magica. I nani Spaccascure usarono la loro influenza per farla condannare all’ergastolo a Sinegaudio, dove il clan sperava che Korda avrebbe ceduto e rivelato finalmente la posizione del tesoro rubato.
L’incarcerazione è andata invece a favore di Korda: infatti, sebbene si sia fatta tantissimi nemici, nessuno può toccarla dietro le sbarre. Korda, ora nota come Prigioniera n°13, prima dell’arresto aveva gettato le basi per una nuova rete di spie e criminali, che le è costata gran parte della fortuna rubata. Ora gestisce le sue operazioni dalla prigione. Usando i suoi tatuaggi magici, supervisiona telepaticamente gli agenti in tutto il Faerûn e oltre, ma nessuno dei suoi sottoposti conosce l’identità del proprio mandante. Quanto alle ricchezze rubate rimaste degli Spaccascure, ora giacciono in un caveau ignoto nelle profondità di Lugubris, sigillato da un lucchetto magico che solo la sequenza runica tatuata sulla mano destra di Korda può aprire.
«Salve, agenti. Abbiamo scoperto l’ubicazione di un grande tesoro nanico, ma solo una prigioniera detenuta all’interno del carcere di Sinegaudio sa come accedervi.
Se deciderete di intraprendere questa missione, dovrete raggiungere la prigione, intrufolarvi all’interno e farvi dire dalla detenuta come accedere al tesoro.
Comunicate queste informazioni al nano noto come Varrin Spaccascure, che vi spiegherà meglio la missione. Buona fortuna, agenti.»
a nave lasciò Waterdeep in un’alba chiara e ventosa, puntando a nord verso Luskan. Per i primi giorni la traversata fu tranquilla: il rollio costante, le vele gonfie, il lento alternarsi di turni di guardia e pasti frugali. Gli agenti del Caveau si mescolavano alla ciurma, ascoltando i racconti di tempeste passate e di porti lontani.
Eppure, piccoli dettagli iniziarono a emergere. Una corrente gelida si insinuava nei corridoi sottocoperta, anche a mezzogiorno. Alcuni giuravano di udire passi lenti e pesanti nella stiva, quando nessuno era di turno laggiù. Una volta, un marinaio raccontò di aver visto un’ombra lunga e sottile strisciare lungo il boccaporto, dissolvendosi al contatto con la luce.
Al quarto giorno, il viaggio cambiò tono. Un mozzo si ammalò, febbre alta e occhi arrossati, seguito in poche ore da altri due uomini. Le voci cominciarono a girare: “Febbre del mare”, maledizione che colpisce le navi stregate. Intanto i rumori dalla stiva si fecero più frequenti, colpi e strisciamenti, e durante la notte un suono ritmico come di catene mosse dal vento.
Scendendo a controllare, gli agenti trovarono l’origine apparente: nascosto dietro botti e casse, un giovane mezzorco, magro e malridotto, si chiamava Brek. Disperato, confessò di essersi imbarcato di nascosto a Waterdeep per sfuggire alla fame. I rumori? Suoi, disse. Il capitano ordinò di sorvegliarlo fino all’arrivo.
Ma i rumori continuarono, più forti e regolari. La febbre colpì metà dell’equipaggio, e sogni inquietanti di mani scheletriche che trascinavano nel buio iniziarono a perseguitare i marinai.
La tensione esplose quando il capitano, con voce grave, confessò la verità: anni prima, lui e parte della ciurma avevano ammutinato contro il precedente capitano, gettandolo in mare. Il cimelio di quell’uomo, uno scudo decorato, era stato tenuto come ricordo. Ma l’anima del capitano defunto non aveva mai lasciato la nave, infestando l’equipaggio attraverso quello scudo.
L’unico modo per fermarlo era un rituale di purificazione. Khùm si pose sul ponte, recitando antiche preghiere, mentre un vento gelido avvolgeva la nave e ombre spettrali salivano dalla stiva, cercando di interrompere il rito. Lamaca, Anistirc ed Emy formarono un muro vivente a protezione del nano, respingendo con fendenti e incantesimi le presenze.
Con un’ultima invocazione, Khùm alzò lo scudo, ora purificato e benedetto. Le ombre si dissolsero, la febbre svanì e il mare tornò calmo. Lo scudo, retaggio di un passato oscuro, divenne ora il compagno fedele di Khùm fino all’ultima missione.
Per spezzare la maledizione, Khùm si propone di officiare un rituale di purificazione. Sul ponte, lo scudo viene posto al centro di un cerchio tracciato con gesso benedetto e sale marino.
Mentre il nano recita le preghiere di Mishakal, il vento si alza, il cielo si oscura e ombre contorte emergono dal nulla. Lamaca, Emy e Anistirc si frappongono tra Khùm e le presenze, fendendo l’aria con magie e lame, tenendo la linea mentre onde alte s’infrangono sulla chiglia.
Con l’ultima invocazione, un bagliore azzurro esplode dal cerchio, dissolvendo le ombre e purificando lo scudo, che diventa il Baluardo Benedetto di Khùm. La febbre cala, e la Lama delle Onde può proseguire verso Nord.
Da Luskan, gli agenti si imbarcarono di nuovo, stavolta con nuove identità: guardie carcerarie dirette alla famigerata prigione di Sinegaudio. Durante la navigazione, studiarono i registri falsi e le storie di copertura preparate per loro. All’arrivo, furono accolti da controlli severi: armi e oggetti “non consoni” vennero requisiti e custoditi.
Conosciuti il capo delle guardie e la direttrice – donna dal comportamento instabile, soggetta a repentini cambi d’umore – vennero assegnati ai turni. Ogni passo dentro le mura di pietra era osservato, e ogni deviazione dagli ordini veniva subito corretta con bruschi richiami.
Nei giorni seguenti, tra ronde e brevi conversazioni con i colleghi, emerse una voce: la direttrice sarebbe posseduta dallo spirito di un vecchio compagno d’armi, responsabile dei suoi sbalzi d’umore. Decisi a forzare la situazione, Lamaca – resa invisibile da Emy – si introdusse davanti alla cella 13.
Lì, Korda Lapislux, fredda e controllata, rifiutò ogni tentativo di liberazione: in cambio della “chiave” richiesta dal Caveau, pretendeva la lista completa dei prigionieri, con nomi e crimini. Il piano si formò in silenzio: infiltrarsi nell’ufficio della direttrice e sottrarre i registri.
Ancora invisibile, Lamaca superò le guardie, rubò i documenti e, durante l’ora d’aria, li consegnò a Korda, che li lesse avidamente prima di scoprire il tatuaggio magico sul suo braccio destro. «Ecco la chiave» sussurrò, rivelando la sequenza runica.
Dopo lo scambio, il tempo a disposizione era minimo. Le disattenzioni dei giorni precedenti avevano già alzato il livello di allerta. Bastava poco perché scattasse l’allarme generale.
Gli agenti si mossero rapidi: recuperare i propri effetti personali, calarsi verso il porto e salire sulla nave di recupero del clan Spaccascure. I corridoi si riempirono di passi e voci: le guardie stavano già reagendo.
Con il suono della sirena alle spalle e i cancelli che si chiudevano, il gruppo si allontanò via mare. La prigione di Sinegaudio si fece piccola all’orizzonte, mentre la chiave magica era ormai nelle mani giuste… almeno per ora.
Riepilogo
❌ Il Mistero di Melmoscura
✅ La Mossa Stigia
✅ Puntare alle Stelle
✅ Prigioniera n°13