Prima di ricevere la nuova chiamata dagli Araldi, i personaggi si recano a Siabsungkoh, dove un presunto revenant ha preso d’assedio il Tempio delle Braci.
Ma ciò che trovano fra le mura fuse e le statue annerite non è un morto inquieto, bensì un angelo di fuoco deformato, un custode nato dalla memoria dei peccati mai commessi o mai ammessi.
L’essere accusa ciascun personaggio di colpe che risuonano come frammenti di vite precedenti, possibilità bruciate o destini deviati.
Poi scompare in una pioggia di scintille, lasciando alle spalle più domande che risposte.
È in questo clima, tra inquietudine e incertezza, che gli Araldi li convocano.
Nella Cittadella Radiosa la luce del Diamante Aurorale è instabile.
Gli Araldi degli Antenati informano il gruppo che, nell’arcipelago di Dayawlongon, un drago sacro — Pangil ng Buwan, un bakunawa venerato da generazioni — ha devastato la cittadina di Kalapang.
Non è una creatura malvagia: qualcosa lo ha portato all’odio, e gli abitanti temono che un gruppo di cacciatori di draghi, già in viaggio, lo abbatta prima che la verità venga alla luce.
I personaggi attraversano la Gemma della Concordia diretta a Dayawlongon, senza sapere che le radici stesse dell’isola li stanno aspettando.
Il viaggio verso Kalapang è tranquillo, finché il gruppo non intravede colonne di fumo.
Una casa è crollata, abitanti feriti giacciono fra le macerie, e la gente fugge urlando: il bakunawa è passato poche ore prima, lasciando una scia di distruzione ma, stranamente, nessun morto.
Tra i soccorritori spicca una giovane donna dall’aria composta e dallo sguardo carico di responsabilità: Nimuel, una binukot — una cantastorie custode di tradizioni, leggi e memorie del territorio.
Accanto a lei, emergendo dalle radici di un albero, appare Lungtian, un ninuno, uno spirito della terra simile a una driade, un tempo mortale e antica amica del bakunawa.
Nimuel e Lungtian raccontano che Pangil ng Buwan era un protettore dell’arcipelago e viveva sull’isola sacra di Lambakluha, presso l’albero-tempio Bathalang Puno, bruciato secoli addietro dagli invasori.
Da allora, l’isola è infestata da spiriti tormentati e da innaturali vesciche di spiriti, escrescenze che avvelenano la terra.
Ora gli spiriti tormentano anche il drago.
E Lungtian teme che morirà se non viene fermato.
La città è agitata: alcuni abitanti venerano ancora il bakunawa, altri lo temono.
Si vocifera che un gruppo di cacciatori di draghi stia per raggiungere Lambakluha.
Il loro capo, Paolo, è convinto che la creatura sia ormai perduta e vada abbattuta.
Nel frattempo, una cantaossa — una custode dei ponti sospesi — canta una melodia triste presso l’ingresso della città.
Il suo canto parla di ossa di draghi intrecciate alle isole, e di giuramenti rotti tra gli spiriti.
I personaggi vengono notati, giudicati, e infine rispettati: il destino di Lambakluha è anche nelle loro mani.
Il viaggio verso Lambakluha avviene lungo uno dei ponti sospesi sacri, Fiamme Eterne, una maestosa struttura intrecciata con magia antica e mantenuta viva dai cantaossa.
Il ponte vibra.
Il vento sussurra nomi sconosciuti.
Radici sospese pendono dall’alto come dita pronte a stringersi.
A metà percorso, una tempesta improvvisa colpisce la struttura: fulmini, raffiche violente e l’impressione costante che l’isola stessa stia respingendo i personaggi.
Ma alla fine raggiungono l’ultima curva del ponte.
All’estremità del ponte sorge un avamposto fortificato: Ultimi Passi Audaci, dove soldati e studiosi cercano da anni di contenere la corruzione di Lambakluha.
Le sentinelle interrogano i personaggi.
Ma prima che le formalità si concludano, un corno risuona.
Gli spiriti dell’isola attaccano il campo.
Le forme incorporee avanzano fra le palizzate, trascinando dietro di sé scie di cenere.
I personaggi intervengono, salvando diverse vite.
Il personale del campo, impressionato, permette loro di accedere liberamente ai servizi e alle informazioni.
Proseguendo verso l’interno, la nebbia si apre rivelando un albero colossale bruciato, i cui rami spogli svettano contro il cielo.
È ciò che resta di Bathalang Puno, un tempo cuore spirituale dell’arcipelago.
Il terreno odora di cenere.
Le radici sono contorte, innaturali, e emanano una pulsazione debole ma continua.
Da quel momento, ogni passo nell’isola porta con sé fenomeni inquietanti: voci nella foschia, ombre che imitano i personaggi, racconti di morti sussurrati da figure grigie che si dissolvono in fiamme dopo ogni storia.
Nella foschia, appaiono decine di figure spettrali che camminano accanto ai personaggi.
Raccontano come morirono durante il rogo dell’albero-tempio: schiacciati da rami ardenti, bruciati nelle loro case, soffocati dal fumo.
Alla fine dei racconti, una voce chiede: «Come hai incontrato la morte?»
Le risposte sincere — o tragicamente inventate — placheranno gli spiriti.
Il silenzio o la sfida… scateneranno le fiamme.
Proseguendo, i personaggi trovano un tempio in rovina, il Zenit del Dolore.
Una statua antica di bakunawa giace spezzata e coperta da una vescica di spiriti che pulsa e si solleva come se respirasse.
La corruzione è palpabile.
Gli spiriti che abitano il luogo non comunicano: gridano, si contorcono, cercano di toccare la mente dei personaggi con memorie che non appartengono a loro.
Il sentiero porta inevitabilmente alla radura finale.
Le radici dell’albero-tempio avvolgono un’enorme cavità nel terreno.
Qui, Pangil ng Buwan giace tormentato, gli occhi di un verde malato identico al bagliore delle vesciche.
Le quattro vesciche di spiriti, immerse nel groviglio di radici, sono collegate al drago e vibrano come cuori corrotti.
Colpirle provoca urla viscerali nella creatura.
Quando i personaggi entrano, non trovano ragione: il bakunawa è consumato da secoli di dolore.
E attacca.
Lo scontro è brutale.
Radici che afferrano, visioni che disorientano, spiriti che gridano dai margini dell’arena.
I cacciatori di draghi vengono preceduti , ma giungono durante il combattimento pronti a colpire, esaltati dalla possibilità di abbattere un leggendario bakunawa.
Pangil ng Buwan combatte fino all’ultimo respiro.
Quando uno dei personaggi infligge il colpo finale, un tuono scuote l’intera radura.
Il corpo del drago crolla, sollevando una nube di cenere grigia.
Le vesciche esplodono in un bagliore verdastro e poi si spengono.
Lambakluha si quieta… dolorosamente.
Il silenzio che segue non è vittorioso.
È un lutto.
Gli spiriti si ritirano.
La terra smette di pulsare.
Ma nulla è guarito: solo fermo, immobile, come un respiro trattenuto.
I personaggi tornano a Kalapang con la consapevolezza di aver fermato la minaccia… ma non di aver salvato il simbolo che l’isola custodiva.
Nimuel e Lungtian ascoltano il resoconto con dignità spezzata.
Non li accusano.
Non li condannano.
Sanno che la creatura era perduta, e che la sua morte ha impedito una rovina più vasta.
Eppure, mentre la notizia si diffonde, Dayawlongon si divide nettamente: chi li ringrazia per aver salvato l’arcipelago e chi li considera gli uccisori di un protettore sacro.
La Cittadella Radiosa li richiama.
Ma Lambakluha rimane dietro di loro come un’isola che ha perso la voce.
E le radici, da qualche parte nel sottosuolo, ricordano.
Dayawlongon è un arcipelago segnato da cicatrici — culturali, spirituali e materiali — lasciate dalle invasioni che bruciarono Bathalang Puno. Le comunità vivono fra costa, boschi sacri e villaggi costruiti con legni rituali, in equilibrio tra tradizione e sopravvivenza.
Cultura e Società
I dayawlongo venerano gli antenati e considerano sacra la poesia come forma di memoria.
Le storie non vengono scritte: vengono tramandate da binukot e cantaossa, depositarie viventi della saggezza regionale.
Economia
Pesca, artigianato in legno cerimoniale, prodotti agricoli costieri e scambi con la Cittadella.
Gran parte della vita pratica si intreccia con rituali e superstizioni condivise.
Credenze
Gli spiriti permeano ogni isola.
I ninuno sono guide e protettori, mentre i bakunawa incarnano memorie antiche e verità cosmiche.
La distruzione del Bathalang Puno ha lasciato un vuoto spirituale ancora percepibile.
Segni distintivi
Ponti sospesi intrecciati con ossa di bakunawa
Radici vive e terre corrotte a Lambakluha
Profonda importanza della parola, del canto e del ricordo
Equilibrio fragile tra tradizione, trauma e rinascita mancata